Nella nota di accredito dal 2013 è necessario il riferimento alla fattura originaria

Deve essere assicurata la correlazione tra i due documenti

 

Le regole di semplificazione all’emissione della fattura previste dall’art. 21-bis del DPR 633/72, per esplicita previsione normativa, vengono estese anche alle note di variazione emesse ai sensi dell’art. 26 (qui definite “fatture rettificative”): vista la genericità della definizione, pare lecito affermare che tale documento possa essere utilizzato sia per una variazione diminutiva (la cosiddetta nota di accredito), sia per integrare quanto originariamente addebitato alla controparte (altresì detta nota di debito).

Al di là delle questioni terminologiche, si deve notare come la formulazione normativa parrebbe consentire l’emissione di una fattura semplificata per rettificare anche una fattura ordinaria, non essendovi una specifica correlazione a tal fine; oltretutto non sono imposte limitazioni di importo (il limite di 100 euro pare relativo alla sola fattura e non anche a quella rettificativa), per cui sarebbe lecito emettere un documento semplificato di importo superiore a tale soglia.
C’è però un aspetto delicato che in un primo momento potrebbe lasciare sorpresi: la lett. h) comma 1 dell’art. 21-bis, nel descrivere il contenuto minimo del documento semplificato, dispone che nelle note di variazione sia indicato “il riferimento alla fattura rettificata e le indicazioni specifiche che vengono modificate”. Si tratta di un’indicazione di non poco conto che potrebbe causare alcuni problemi agli operatori. Quello richiamato risulta essere, infatti, un elemento che invece non è espressamente richiesto dall’art. 26: ma allora la rettifica tramite documento semplificato richiede elementi aggiuntivi rispetto alla nota di variazione ordinaria emessa ai sensi dell’art. 26 del TUIR?

In realtà, si deve notare come quanto non viene preteso dall’art. 26, in realtà, sia ripetutamente menzionato da prassi e giurisprudenza, oltre che invalso nella pratica: è consuetudine che chi emette una nota di variazione segnali quale sia il dato originario che intende rettificare.

Sul punto, la risoluzione n. 85/2009 afferma che al momento in cui si opera una variazione “è necessario che sia assicurata l’identità tra l’oggetto della fattura e della registrazione originarie, da un lato, e l’oggetto della registrazione della variazione, dall’altro, in modo che esista corrispondenza tra i due documenti contabili”. Dello stesso avviso anche la precedente risoluzione n. 42/2009. Anche sotto il profilo giurisprudenziale tale indicazione pare tutt’altro che facoltativa: secondo la Cassazione (sentenze n. 5356/1999 e n. 9188/2001), affinché possa essere emessa la nota di variazione è necessario che sia assicurata la correlazione tra il documento rettificativo e quello originario (si fa riferimento ad una “corrispondenza tra i due atti contabili”).

Non pare neppure particolarmente consistente l’obiezione secondo cui l’Agenzia, nella celebre risoluzione n. 36/2008 relativa agli sconti e ai servizi promozionali, avrebbe approvato una soluzione meno rigorosa, avallando la rettifica degli importi fatturati tramite il semplice richiamo “all’accordo commerciale (data e paragrafo)”. Tale alternativa concessa pare, infatti, legata al buon senso: una riduzione di imponibile derivante da sconti e premi normalmente fa riferimento agli acquisti di un arco temporale (l’anno), che quindi possono riferirsi ad ampie forniture, oggetto magari di centinaia di fatture. Indicarle tutte sarebbe eccessivamente gravoso, anzi, pare più significativo il riferimento all’accordo che al singolo documento rettificato.